L’esposizione nel Museo di Roma a Palazzo Braschi della “Resurrezione di Lazzaro” di Caravaggio, recentemente restaurata, è un evento di eccezionale valore culturale che offre al visitatore l’occasione di ritrovare uno dei più grandi e discussi artisti italiani.
La mostra, organizzata dall’Associazione Culturale MetaMorfosi e da Zètema Progetto Cultura, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, dall’Assessorato alla Cultura della Regione Siciliana e dall’Istituto Superiore per la Conservazione e Restauro (del MIBAC). Con questo evento saranno aperti per la prima volta al pubblico, dopo i lavori di restauro, il grande Salone d’Onore che ospiterà il capolavoro caravaggesco e l’attigua Cappella Valadier.
La storia del dipinto e degli interventi di restauro è particolarmente burrascosa.
Messina fu la seconda tappa siciliana dopo la precipitosa fuga di Caravaggio da Malta. Nel dicembre del 1608 Giovan Battista de’ Lazzari, mercante genovese, commissiona un dipinto raffigurante la Madonna, S. Giovanni Battista e altri santi per la sua cappella nella chiesa dei Crociferi di San Camillo De Lellis. Il 6 giugno 1609 il quadro è collocato e si annota che autore ne è “Michelangelo Caravagio militis Gerosolimitanus”. Nel frattempo il soggetto del dipinto è stato modificato e ora raffigura la resurrezione di Lazzaro.
L’importante tela di fortissima suggestione mostra gli interpreti dell’evento miracoloso in primo piano, su uno sfondo scuro che suggerisce un’ambientazione architettonica: l’interno di una chiesa. Il pavimento è cosparso di ossa. Tale collocazione insolita è stata messa in relazione con i ritrovamenti di resti dei compagni di martirio di San Placido, avvenuti proprio nel dicembre 1608, nella chiesa messinese di San Giovanni di Malta, che avevano avuto grande risonanza.
Il gesto imperioso del Cristo con il volto in ombra e l’indice teso verso il corpo di Lazzaro ha un precedente in quello della Vocazione di San Matteo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, a sua volta ispirato al gesto della Creazione di Adamo di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina.
Il dipinto ebbe molto presto problemi conservativi: il primo restauro di cui si ha notizia risale già al 1670, ad opera di Andrea Suppa.
Il restauratore, che si sarebbe accinto alla pulitura con semplice acqua, si trovò ad asportare colore nero. Accusato dalla città di avere danneggiato il prezioso dipinto ne morì di dolore. Questo episodio romanzesco, se ha un fondo di verità, ci avverte prima di tutto del fatto che l’opera, a pochi decenni dalla sua esecuzione, aveva già dei problemi conservativi.
Altri restauri documentati furono eseguiti nel 1820 da Letterio Subba e da Gualtiero De Bacci Venuti nel 1919.
Nel 1951 fu restaurato dall’Istituto Centrale per il Restauro, in vista dell’esposizione alla grande mostra milanese di Caravaggio insieme all’Adorazione dei Pastori e a tre opere di Alonzo Rodriguez di Messina. La Natività di Palermo, giunta troppo tardi, fu restaurata al termine della mostra.
L’attuale intervento, durato otto mesi, è stato eseguito dall’ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione e Restauro, del MIBAC) in accordo con il Museo Regionale di Messina ed è stato realizzato grazie all’Associazione Culturale MetaMorfosi che ne ha organizzato anche l’esposizione, in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.
Oltre ad aver recuperato la leggibilità dell’opera grazie all’incremento e al progresso delle ricerche scientifiche, l’intervento ha contribuito ad arricchire le conoscenze sui materiali e sulle tecniche esecutive dell’artista e ad identificare le cause di degrado delle sue opere.